lunedì 26 luglio 2010

martedì 1 giugno 2010

La crisi che gioca a testa o croce

Pubblicato su Il Sardegna del 31 maggio 2010



I mutui subprime e la conseguente crisi degli istituti bancari in tutto il mondo; il petrolio che ormai da mesi fuoriesce ininterrottamente dalla piattaforma BP nel Golfo del Messico; da ultimo, il debito greco fuori controllo che trascina nel vortice l’intera economia europea. Le grandi crisi che hanno catalizzato l’opinione pubblica negli ultimi tempi sono tutte collegate da un sottile filo rosso, efficacemente riassunto dalla nota gag di Stanlio e Ollio: “se esce testa vinco io, se esce croce perdi tu”. E’ infatti accaduto che alcuni soggetti hanno operato per anni senza rispetto per le più elementari regole di prudenza e correttezza, traendone enormi vantaggi. Ma quando il rischio si è tramutato in catastrofe, ecco che gli enormi oneri necessari per porvi rimedio sono stati addossati alla collettività.

L’intervento pubblico, imposto dalla necessità di evitare che le varie catastrofi – finanziarie o ambientali – si potessero diffondere in maniera epidemica, travolgendo tutta l’economia e la società, è comunemente definito come “salvataggio”. E così, si salvano le banche in crisi, l’Europa salva i “cugini greci”, Obama sarà ben presto chiamato a salvare la Louisiana dall’onda nera che ormai è giunta alle foci del Mississipi. Il termine, grazie anche al suo utilizzo nel lessico cattolico, è connotato in senso fortemente positivo ed evoca l’immagine del pompiere che evacua l’abitazione in fiamme, salvando gli abitanti, o del san bernardo che salva l’alpinista rimasto sepolto da una slavina. Gli americani, per contro, utilizzano il termine bailout che originariamente indicava l’azione del pilota che si lascia fuori dall’aeroplano in caduta. In questo caso il pilota ha perduto l’aereo affidatogli, questo andrà a schiantarsi magari sulla casa di qualcuno, ma la vita umana deve pur sempre essere salvata dal bailout. Da allora il termine è adottato quando si va in soccorso di chi, per propria colpa, si è cacciato in una situazione spiacevole, o drammatica, da cui non può uscire con le proprie forze. Così il bambino che salta la cena perché resta a giocare a pallone, e poi al rientro si lamenta per la fame, viene sfamato dai genitori con un bailout. Ma un genitore serio, nei giorni successivi, vieterà al figlio di uscire a giocare. E così pure, il pilota salvato dal paracadute che ha lasciato colpevolmente schiantare il proprio aereo su un centro abitato, difficilmente troverà qualcuno che gli affidi un altro aereo.

La storia delle parole, a volte, insegna ad usarle correttamente. E dopo aver ripulito le coste americane dal petrolio, è probabile che saranno imposti nuovi e stringenti divieti all’utilizzo di piattaforme di estrazione oceaniche. Così pure, la crisi della Grecia ha portato tutti gli stati europei ad approvare misure fortemente restrittive della spesa pubblica. Solo le banche sono rimaste immuni dalle conseguenze della crisi che hanno innescato, e dopo qualche mese dal bailout hanno ricominciato a macinare utili e distribuire laute provvigioni ai propri manager. Che esca testa o croce, il risultato non cambia.

di chi è la sella del diavolo

Pubblicato su Il Sardegna del 22.4.2010

Di chi è la Sella del Diavolo? E la Torre di Pisa? Di tutti, direte correttamente, e quindi di nessuno. Tutti possono liberamente prendere il sole nella spiaggia cittadina, tutti scattare una foto mentre fingono di reggere la Torre pendente con la mano e, se per caso un imprenditore decidesse di aprire un albergo o un ristorante sulla spiaggia cagliaritana, potrebbe ben chiamarlo “Hotel Poetto” o “Ristorante La Sella del Diavolo”.

Il Governo, tuttavia, il 16 aprile scorso, ha introdotto di soppiatto una bomba in questo sistema idilliaco. Gli enti territoriali possono ora registrare come marchio i beni facenti parte del patrimonio storico, culturale e paesaggistico nazionale. Nel decifrare questa oscura previsione normativa non bisogna farsi ingannare dalla natura pubblica degli enti che potranno registrare i marchi in esame: la sostanza è che un bene in precedenza “comune”, di tutti, viene oggi privatizzato. Il ristoratore che volesse riprodurre la Sella del Diavolo sul proprio menu sarà costretto a pagare le royalties, e così pure l’imprenditore immobiliare che dovesse mettere in vendita una lottizzazione “Mari Pintau” dovrà pagare i diritti all’ente che avrà registrato il relativo marchio.

In sostanza, si tratta di una nuova tassa che andrà a gravare sugli imprenditori a beneficio degli enti territoriali, seppur “contrabbandata” come strumento di valorizzazione del patrimonio culturale nazionale. Ma non basta.

A partire da domani il vero problema sarà: di chi è il Poetto? chi potrà registrare il relativo marchio? Il Comune di Cagliari o di Quartu S.E. ? O forse la Provincia di Cagliari? Il rischio è che si vada verso una corsa alla registrazione dove il più veloce, o il più furbo, o il meglio assistito, avrà la meglio. E, così, infine, anche il Colosseo, che in passato tanti hanno provato a vendere, potrà ora essere legittimamente venduto dal Comune di Roma ad una multinazionale americana.

giovedì 25 febbraio 2010

Pubblicato su Il Sardegna del 20.2.2010

La verità sul saliscendi dei titoli.

La Borsa sale, la Borsa scende. Ogni giorno i telegiornali ripetono questo mantra, mentre i telespettatori, con l’atteggiamento del tifoso allo stadio, esultano per un rialzo o si mortificano per un ribasso dell’indice Mibtel. Ma di che si parla effettivamente, e a chi interessa davvero? Certo, la Borsa porta un beneficio all’economia nazionale – e di riflesso a tutti i cittadini – consentendo alle imprese di reperire danaro a condizioni migliori di quelle praticate dal sistema bancario. Le banche richiedono gli interessi ogni mese, a prescindere dall’andamento della società; gli azionisti, invece, vengono pagati una volta all’anno e solo se la società ha prodotto utili. Tuttavia, le notizie di Borsa che ci bombardano giornalmente non hanno nulla da spartire con questa finalità “sana” del mercato. Negli ultimi 4 anni sono state appena 39 le società che hanno fatto appello al mercato per raccogliere nuovi investimenti, per un importo complessivo sostanzialmente irrilevante rispetto ai numeri mossi giornalmente dai mercati. E allora, è lecito chiedersi a cosa è servita la Borsa in questi anni se non ha finanziato le imprese. Se non ha “pompato” il danaro per gli investimenti necessario alla nostra economia asfittica. Semplice. La Borsa ha alimentato unicamente la speculazione finanziaria. Il saliscendi dei titoli ha portato all’economia reale un contributo sostanzialmente nullo, assimilabile a quello delle vincite al Superenalotto. O forse addirittura inferiore, visto che almeno le lotterie portano un notevole vantaggio fiscale allo Stato – e dunque ai cittadini – spesso eluso nel caso di capital gain. E allora, spostiamo le notizie di Borsa dalla pagina dell’economia a quella della cronaca, e d’ora in poi accanto alla foto del titolare del bar-tabacchi che ha ricevuto la giocata milionaria troveremo anche la foto dell’amministratore della società che, con la sua quotazione, ha fatto le fortune – o le disgrazie – degli investitori. Probabilmente sarebbe più corretto ed i cittadini-telespettatori avrebbero reale coscienza delle regole, o dell’assenza di regole, del gioco. Quel gioco dove i grandi investitori, gli squali, chiamano i piccoli investitori “parco buoi”.

giovedì 11 febbraio 2010

Tassa beffa sulla musica

Pubblicato su Il Sardegna del 21.10.2010


Immaginate di appartenere alla categoria – ormai in via di estinzione, come i panda – di coloro che comprano musica originale e volete ora trasferire una canzone su un altro supporto. Decisione più che legittima e, direi, quasi naturale: la canzone è sempre la stessa, l’avete pagata e volete ascoltarla sull’Ipod mentre correte, oppure sull’autoradio mentre guidate, oppure sull’impianto hi-fi di casa.
La Legge, tuttavia, non è dalla vostra parte. Ormai tutti sanno che è illegittimo distribuire copie – anche gratuite – della musica di cui si dispone legittimamente; le case discografiche tengono tuttavia nascosto che anche le copie “per uso personale”, pur legittime, sono oggetto di notevoli restrizioni. E così, in primo luogo, non tutta la musica può essere liberamente copiata: le case discografiche hanno introdotto infatti delle protezioni “anti pirateria” che impediscono la copia del cd o la riproduzione delle canzoni pur legittimamente acquistate. Chi rimuovesse queste protezioni potrebbe commettere un reato penale punito con la reclusione da uno a quattro anni. Quindi, in sostanza, chi compra la musica nella gran parte dei casi non può crearsene una copia personale. E fin qui il danno.
Ma, ovviamente c’è anche la beffa. Il 30 dicembre scorso il Ministro per i beni e le attività culturali ha imposto una “tassa” su tutti i dispositivi elettronici forniti di “memoria”, che potrebbero essere utilizzati per conservare copie di materiale protetto dal diritto d’autore per “uso personale”. Da oggi, chiunque compra un hard disk, ma anche un telefonino, una chiavetta usb o una scheda di memoria per la macchina fotografica, dovrà dunque pagare un sovrapprezzo che finirà nelle tasche della SIAE. Stiamo parlando di aumenti dell’ordine di 16 € per un Ipod, fino a 23 € per un videoregistratore con hard disk incorporato, e ciò anche se non viene memorizzata alcuna canzone o film protetto dal diritto d’autore. Un po’ come tassare gli occhiali da vista perché potrebbero essere usati per la visione di film “piratati” !
La soluzione legale? Comprare da un sito all’estero, dove la tassa non c’è. Con buona pace di chi dice di voler tutelare l’economia nazionale.

Borsa e Pesci

Pubblicato su Il Sardegna del 17.12.2009


Piazza Affari a Milano ed il Mercato di piazza San Benedetto a Cagliari, apparentemente così distanti, sia geograficamente che culturalmente, hanno un punto in comune. Entrambi fondano le proprie fortune sulla fiducia dei consumatori.

Solo pochi eletti – nonostante le vanterie diffuse – sono effettivamente in grado di riconoscere un pesce fresco da uno meno fresco. Nessuno è in grado di capire se un pesce è stato effettivamente pescato nel Mar Mediterraneo o nell’Oceano Atlantico, piuttosto che alla foce di un fiume maleodorante dell’Europa dell’Est. Nessuno può sapere se una cassa di gamberoni è stata scongelata e risurgelata, ovvero se la data di scadenza indicata è corretta, come recentemente accaduto.

Ci dobbiamo fidare di quello che ci dicono gli esperti, quelli che sono dietro il banco, così come quando investiamo in borsa e ci affidiamo ai giudizi delle società di rating, ovvero ai consigli del funzionario di banca o del promotore finanziario.

Il sistema funziona perché i consumatori hanno fiducia nel Mercato e negli operatori. Tuttavia, la tentazione di abusare di questa fiducia è fortissima. I guadagni per chi imbroglia sono enormi, sia nel mercato azionario che nel mercato ittico. La possibilità di essere scoperti è remota e, comunque, lontana nel tempo. Un pesce ricongelato potrebbe causare solo un mal di pancia, e difficilmente si potrebbe risalire al merluzzo incriminato. Un titolo sopravvalutato potrebbe causare una perdita, ma sarebbe facile in quel caso dare la colpa alla “congiuntura del mercato”, ovvero a complicatissimi meccanismi finanziari, difficili da comprendere per il povero consumatore che ha perso i propri risparmi.

Quando tuttavia il giocattolo si rompe, non si può più aggiustare. Quando il consumatore perde la fiducia per colpa di pochi speculatori, tutto il mercato ne risente. Essendo impossibile distinguere i buoni dai cattivi, le colpe di pochi ricadono su tutti.

Dai problemi globali a quelli locali. Così come nelle borse internazionali la fiducia è stata riconquistata con una moralizzazione del sistema e l’intensificazione dei meccanismi di controllo, così pure il nostro piccolo mercato del pesce cagliaritano avrebbe bisogno di un segnale forte, per garantire i consumatori che c’è chi vigila per loro.

Lo scandalo dei derivati nell'Isola

pubblicato su Il Sardegna del 28.11.2009

Prendete una materia così complessa da non poter essere compiutamente affrontata in un normale corso universitario. Provate ora a disciplinare questa materia con un contratto così sofisticato che, di norma, viene "preconfezionato" da banche estere specializzate e poi ceduto alle banche italiane. Ora impacchettate questo contratto con un nastro colorato ed una scritta sopra che recita "riduzione degli oneri del debito" e immaginate di offrirlo agli amministratori di grandi e piccoli Comuni d'Italia oberati dai debiti, senza illustrarne il reale contenuto ed i potenziali effetti. Ecco servito lo scandalo dei derivati sottoscritti dagli enti locali.

Dalle ultime rilevazioni statistiche risulta che circa 519 Comuni italiani hanno sottoscritto un contratto derivato. In Sardegna sono 22 i Comuni che hanno sottoscritto un derivato e, di questi, il 72,7% ha dichiarato alla Corte dei Conti di aspettarsi una perdita dal contratto: la percentuale più alta in Italia.

Facciamo ordine: i derivati sottoscritti dagli enti locali, per legge, dovrebbero esclusivamente "ristrutturare il debito" mediante "eliminazione del rischio di aumento dei tassi di interesse" sui finanziamenti in essere. Tuttavia, la banca che propone il derivato, nella gran parte dei casi, riveste la triplice posizione di titolare del debito da ristrutturare, di proponente del contratto e di consulente del Comune in merito alla convenienza del contratto. In evidente conflitto di interessi. Accade così che i contratti derivati sottoscritti dai Comuni vengono a contenere vere e proprie "scommesse" sull'andamento dei tassi di interesse, illegittime. E quando, come è spesso accaduto, il Comune perde la scommessa, le perdite sono altissime.

Certo, non tutti i contratti derivati sottoscritti dagli enti locali sono necessariamente contrari alla legge: il vero problema è legato alle difficoltà nel distinguere quelli che sono legittimi da quelli che non lo sono. Una sana e prudente gestione delle finanze pubbliche dovrebbe imporre a tutte le amministrazioni comunali di procedere ad un check-up dei rischi connessi ai contratti in essere. Ma quante, soprattutto in Sardegna, hanno avviato le necessarie procedure? E quanti Comuni espongono nei propri bilanci le reali passività conseguenti alla stipula di questi contratti ?