giovedì 11 febbraio 2010

Tassa beffa sulla musica

Pubblicato su Il Sardegna del 21.10.2010


Immaginate di appartenere alla categoria – ormai in via di estinzione, come i panda – di coloro che comprano musica originale e volete ora trasferire una canzone su un altro supporto. Decisione più che legittima e, direi, quasi naturale: la canzone è sempre la stessa, l’avete pagata e volete ascoltarla sull’Ipod mentre correte, oppure sull’autoradio mentre guidate, oppure sull’impianto hi-fi di casa.
La Legge, tuttavia, non è dalla vostra parte. Ormai tutti sanno che è illegittimo distribuire copie – anche gratuite – della musica di cui si dispone legittimamente; le case discografiche tengono tuttavia nascosto che anche le copie “per uso personale”, pur legittime, sono oggetto di notevoli restrizioni. E così, in primo luogo, non tutta la musica può essere liberamente copiata: le case discografiche hanno introdotto infatti delle protezioni “anti pirateria” che impediscono la copia del cd o la riproduzione delle canzoni pur legittimamente acquistate. Chi rimuovesse queste protezioni potrebbe commettere un reato penale punito con la reclusione da uno a quattro anni. Quindi, in sostanza, chi compra la musica nella gran parte dei casi non può crearsene una copia personale. E fin qui il danno.
Ma, ovviamente c’è anche la beffa. Il 30 dicembre scorso il Ministro per i beni e le attività culturali ha imposto una “tassa” su tutti i dispositivi elettronici forniti di “memoria”, che potrebbero essere utilizzati per conservare copie di materiale protetto dal diritto d’autore per “uso personale”. Da oggi, chiunque compra un hard disk, ma anche un telefonino, una chiavetta usb o una scheda di memoria per la macchina fotografica, dovrà dunque pagare un sovrapprezzo che finirà nelle tasche della SIAE. Stiamo parlando di aumenti dell’ordine di 16 € per un Ipod, fino a 23 € per un videoregistratore con hard disk incorporato, e ciò anche se non viene memorizzata alcuna canzone o film protetto dal diritto d’autore. Un po’ come tassare gli occhiali da vista perché potrebbero essere usati per la visione di film “piratati” !
La soluzione legale? Comprare da un sito all’estero, dove la tassa non c’è. Con buona pace di chi dice di voler tutelare l’economia nazionale.

Borsa e Pesci

Pubblicato su Il Sardegna del 17.12.2009


Piazza Affari a Milano ed il Mercato di piazza San Benedetto a Cagliari, apparentemente così distanti, sia geograficamente che culturalmente, hanno un punto in comune. Entrambi fondano le proprie fortune sulla fiducia dei consumatori.

Solo pochi eletti – nonostante le vanterie diffuse – sono effettivamente in grado di riconoscere un pesce fresco da uno meno fresco. Nessuno è in grado di capire se un pesce è stato effettivamente pescato nel Mar Mediterraneo o nell’Oceano Atlantico, piuttosto che alla foce di un fiume maleodorante dell’Europa dell’Est. Nessuno può sapere se una cassa di gamberoni è stata scongelata e risurgelata, ovvero se la data di scadenza indicata è corretta, come recentemente accaduto.

Ci dobbiamo fidare di quello che ci dicono gli esperti, quelli che sono dietro il banco, così come quando investiamo in borsa e ci affidiamo ai giudizi delle società di rating, ovvero ai consigli del funzionario di banca o del promotore finanziario.

Il sistema funziona perché i consumatori hanno fiducia nel Mercato e negli operatori. Tuttavia, la tentazione di abusare di questa fiducia è fortissima. I guadagni per chi imbroglia sono enormi, sia nel mercato azionario che nel mercato ittico. La possibilità di essere scoperti è remota e, comunque, lontana nel tempo. Un pesce ricongelato potrebbe causare solo un mal di pancia, e difficilmente si potrebbe risalire al merluzzo incriminato. Un titolo sopravvalutato potrebbe causare una perdita, ma sarebbe facile in quel caso dare la colpa alla “congiuntura del mercato”, ovvero a complicatissimi meccanismi finanziari, difficili da comprendere per il povero consumatore che ha perso i propri risparmi.

Quando tuttavia il giocattolo si rompe, non si può più aggiustare. Quando il consumatore perde la fiducia per colpa di pochi speculatori, tutto il mercato ne risente. Essendo impossibile distinguere i buoni dai cattivi, le colpe di pochi ricadono su tutti.

Dai problemi globali a quelli locali. Così come nelle borse internazionali la fiducia è stata riconquistata con una moralizzazione del sistema e l’intensificazione dei meccanismi di controllo, così pure il nostro piccolo mercato del pesce cagliaritano avrebbe bisogno di un segnale forte, per garantire i consumatori che c’è chi vigila per loro.

Lo scandalo dei derivati nell'Isola

pubblicato su Il Sardegna del 28.11.2009

Prendete una materia così complessa da non poter essere compiutamente affrontata in un normale corso universitario. Provate ora a disciplinare questa materia con un contratto così sofisticato che, di norma, viene "preconfezionato" da banche estere specializzate e poi ceduto alle banche italiane. Ora impacchettate questo contratto con un nastro colorato ed una scritta sopra che recita "riduzione degli oneri del debito" e immaginate di offrirlo agli amministratori di grandi e piccoli Comuni d'Italia oberati dai debiti, senza illustrarne il reale contenuto ed i potenziali effetti. Ecco servito lo scandalo dei derivati sottoscritti dagli enti locali.

Dalle ultime rilevazioni statistiche risulta che circa 519 Comuni italiani hanno sottoscritto un contratto derivato. In Sardegna sono 22 i Comuni che hanno sottoscritto un derivato e, di questi, il 72,7% ha dichiarato alla Corte dei Conti di aspettarsi una perdita dal contratto: la percentuale più alta in Italia.

Facciamo ordine: i derivati sottoscritti dagli enti locali, per legge, dovrebbero esclusivamente "ristrutturare il debito" mediante "eliminazione del rischio di aumento dei tassi di interesse" sui finanziamenti in essere. Tuttavia, la banca che propone il derivato, nella gran parte dei casi, riveste la triplice posizione di titolare del debito da ristrutturare, di proponente del contratto e di consulente del Comune in merito alla convenienza del contratto. In evidente conflitto di interessi. Accade così che i contratti derivati sottoscritti dai Comuni vengono a contenere vere e proprie "scommesse" sull'andamento dei tassi di interesse, illegittime. E quando, come è spesso accaduto, il Comune perde la scommessa, le perdite sono altissime.

Certo, non tutti i contratti derivati sottoscritti dagli enti locali sono necessariamente contrari alla legge: il vero problema è legato alle difficoltà nel distinguere quelli che sono legittimi da quelli che non lo sono. Una sana e prudente gestione delle finanze pubbliche dovrebbe imporre a tutte le amministrazioni comunali di procedere ad un check-up dei rischi connessi ai contratti in essere. Ma quante, soprattutto in Sardegna, hanno avviato le necessarie procedure? E quanti Comuni espongono nei propri bilanci le reali passività conseguenti alla stipula di questi contratti ?